Wynnie Mynerva
La prima personale in Italia di Wynnie Mynerva (Lima, Perù, 1992), a cura di Alessio Antoniolli, composta da un nuovo nucleo di opere realizzate a Roma nell’ambito della residenza che ha preceduto la mostra.
Per Mynerva le esperienze personali, i traumi collettivi e i desideri individuali rientrano all’interno di una pratica che tende verso rinnovate prospettive del passato e del presente, così da rispecchiare un futuro di speranza e apertura che risponda ai nostri tempi. Dal confronto con la città e la sua storia stratificata, Mynerva ha ideato una nuova cosmologia, un universo in cui attraverso la pittura prendono vita sistemi di pensiero capaci di individuare traiettorie multiple.
A partire dalla propria convivenza con una malattia cronica, e guidata dalle suggestioni del pensiero esoterico e della magia – intese come strumenti per restituire alle persone la fiducia nelle proprie forze – Mynerva si è confrontata con il corpo per porlo al di fuori della semplice distinzione binaria tra malato e sano. Con riferimento alla scrittrice Susan Sontag, che ha definito il corpo e “le sue metafore”, rivestite di simboli culturali e politici, Mynerva ha deciso di dare vita a un universo cosmico dove l’essere umano – un holobite, secondo la definizione di Lynn Margulis – è visto come un’entità ecologica itinerante, collegata a tutto ciò che la circonda.
Piuttosto che confrontarsi con la malattia fisica in sé, l’artista cerca di dare forma a un modo autentico per rapportarsi ad essa attraverso la convivenza e la strutturazione di un universo creativo che rinnovi le energie di coloro che stanno affrontando una malattia sociale.
Per l’artista, il corpo diventa il tramite fondamentale attraverso cui comunicare l’esigenza rinnovata di coniugare ideale e materiale, alto e basso. A partire dall’approfondimento della storia e dei cicli di affreschi più noti della città, Mynerva ha indagato il suo rapporto con Roma, lavorando sulla creazione di un ambiente immersivo in grado di trasportare chi vi entra in un universo nuovo. Questa geografia è espressa attraverso un lessico pittorico dove le parti del corpo proliferano al di là di nomi ed etichette, inventando anatomie fluide per alludere ad un ecosistema più ampio. In mostra, ogni corpo viene trasformato così in un sistema in grado di ospitare nuovi abitanti e nuovi scenari, esaltando le differenze e la valorizzazione della coesistenza universale.
Quattro tele di forma circolare, simili a grandi rosoni che rivestono il soffitto ribaltando il punto di vista, invitano il pubblico a contemplare la pittura trasportando la visione su un piano cosmico e divino, oltrepassando il confine tra organico e macchinico, umano e animale. È in questo modo che Wynnie Mynerva crea un microcosmo in cui la pittura, fatta di luci e ombre e di strati densi di colore, manifesta l’apertura verso un nuovo futuro, mescolandosi alla natura e all’universo.